81 anni fa, l’eccidio di Fondotoce. L’ennesimo terribile fatto di sangue del rastrellamento della Val Grande
di Stefano Catone
Il 20 giugno di 81 anni fa fu un giorno di terrore, per la sponda piemontese del lago Maggiore. Fu l’ennesimo giorno di violenze e non fu l’ultimo. Pochi giorni prima, il 17 giugno, la battaglia della Marona aveva segnato il momento più duro del terribile rastrellamento della Val Grande, un rastrellamento costellato di feroci e del tutto ingiustificati eccidi (ne parliamo nel nuovo numero di Ossigeno), di rifugi, case, baite, ricoveri dati alle fiamme: ogni alpeggio ha avuto, in quei giorni, il suo fatto di sangue. Siamo in Piemonte, sopra a Verbania, una cittadina sul lago che guarda verso la Lombardia.
SONO QUESTI I LIBERATORI D’ITALIA?
Il 20 giugno 1944, 46 partigiani catturati in Val Grande vengono caricati su camionette e obbligati a sfilare lungo le cittadine bagnate dal lago Maggiore. A guidare il corteo ci sono due uomini che sorreggono un cartello con scritto “Sono questi i liberatori d’Italia oppure sono i banditi?”. La gente li osserva passare e non può fare a meno di immaginare la sorte a cui stanno andando incontro. Tra i due uomini, nel mezzo, in prima fila, c’è una donna. È l’unica donna. Ha il capo chino, coperto da un foulard, una maglia sulle spalle, le mani incrociate che sorreggono una borsa. Cleonice Tomassetti è una maestra elementare, ha raggiunto un paio di mesi prima, nell’aprile del 1944, il suo compagno, unitosi alla Resistenza. I nazifascisti la mettono alla testa del corteo per umiliarla ulteriormente e per infangare l’immagine delle donne partigiane. Che cosa ci fa una donna in mezzo a tanti uomini? Sono banditi, brutta gente – è la risposta che i nazifascisti stanno suggerendo.
QUARANTATRE’
Dei 46 partigiani catturati, 43 vengono condotti a Fondotoce, non distante dal canale che collega il lago di Mergozzo e il lago Maggiore. Vengono chiamati tre alla volta, presi con la forza, messi al muro e fucilati. Uno di loro si salva, è Carlo Suzzi di Busto Arsizio. Viene colpito, ma non mortalmente. I nazifascisti, a fucilazione avvenuta, calpestano sui cadaveri per zittire con un colpo alla testa chi si trova ancora nel limbo tra la vita e la morte. Carlo viene nuovamente ferito, ma resta tra i salvati. 42 sono le persone trucidate, Carlo sarebbe stato 43esimo, ed è per questo che tornerà nelle file della Resistenza con nome di battaglia “Quarantatrè”. Alla fine del rastrellamento sono circa 300 i partigiani trucidati. Ad alcune salme non è mai stato dato un nome. Alcuni corpi non sono più stati ritrovati.
81 ANNI DOPO
Oggi, in quel luogo, sorge il Parco della memoria e della pace, che ospita la Casa delle Resistenza. Tra le strutture che compongono il parco c’è il “Muro”, inaugurato il 20 giugno 1964 – sono passati vent’anni dall’eccidio – dall’allora Vice Presidente della Camera, che risponde al nome di Sandro Pertini. Sul muro sono incisi i nomi degli oltre 1.200 caduti durante la lotta di Liberazione nel territorio del Verbano Cusio Ossola, nel Novarese e limitrofi.
In questi giorni, come ogni anno, si stanno svolgendo le celebrazioni in memoria del rastrellamento e dell’eccidio. A tenere l’orazione ufficiale, domenica 22 giugno, ci sarà Enzo Laforgia che, nel suo libro “Quando il fascismo dettava la dieta” (People, 2025), sottolinea come alcuni nomi della “cucina fascista” si siano sedimentati e siano arrivati fino a noi. Ed è perlomeno curioso notare che il corteo previsto per il 22 giugno prossimo, e diretto alla Casa della Resistenza, muoverà da “piazza Adua”, quell’Adua dove nel 1896 si svolse la battaglia decisiva della guerra in Abissinia. Un’altra evidenza del fatto che, ancora oggi, a 80 anni dalla Liberazione, abbiamo un sacco di lavoro – e di conti – da fare con il nostro passato.
Per approfondire: Ossigeno 20 – Siamo i ribelli della montagna